All’inizio del XVIII secolo si sviluppa una nuova sensibilità che vede l’uscita dagli schemi formali del giardino. In concomitanza alle spinte artistiche e filosofiche del Romanticismo, il giardino diventa un luogo in cui l’emozione, la sorpresa, il selvaggio assumono la dominanza sulla progettazione di forme e percorsi.
È la Natura ad essere protagonista assoluta, nelle sue forme originarie, che non necessariamente sono simmetriche e regolari - ma attenzione, perché anche in questo caso la Natura non è mai incolta.
Mentre l’Inghilterra assume sempre più importanza intellettuale ed economica, emerge anche un giardino che si contrappone e si afferma sui giardini formali, è un giardino paesaggistico, per sua natura informale. Se abbiamo detto che il mondo vegetale è metafora della società, potremmo contrapporre al giardino formale francese (quello dell’assolutismo politico) il giardino informale inglese: l’Inghilterra è il laboratorio del costituzionalismo, e la libertà dell’individuo diventa, nel giardino, libertà della Natura selvaggia. Nell’Emilio, Rousseau parla di un uomo che deforma la natura, e dunque deforma anche se stesso. Il giardino vuole ritornare alla sua dimensione originaria e primigenia, dove l’intervento dell’uomo è indiretto e l’asimmetrico vince sul simmetrico.
Nel giardino informale inglese si avvicendano, anche in rapida successione, alberi, fiori, grotte, ruscelli, cespugli, pagode, tempietti e rovine, in una concezione romantica che vede come elementi dominanti il moto dinamico delle acque, la spontaneità di alberi e fiori. Si cerca di imitare la Natura... ma migliorandola!
Pur elogiando la natura selvaggia, il giardino all’inglese non è un giardino incolto, ma è studiato a tavolino per suggerire un’idea di “naturalità” delle cose, in una concezione che vede nel pittoricismo di C. Lorrain, di Salvator Rosa e di N. Poussin i suoi riferimenti iconografici chiave - le rovine antiche della Grecia, ma anche della Cina immaginata da alcuni autori dell’epoca, primo tra tutti William Temple (1628 - 1699) che introduce il termine “sharawadgi” nel suo saggio Upon the Gardens of Epicurus (1685). Questo termine, studiato da Baltrusaitis (1976) può assumere i significati di a) grazia disordinata; b) disegno asimmetrico; c) composizioni senza un ordine visibile.
Lo stesso Temple sapeva che asimmetrie, disordine, natura, sono nei giardini all’inglese figure calcolate: un effetto naturale prodotto con l’artificialità.
Ma nonostante questa artificiosità a monte, il concetto di una Natura finalmente libera trova ampio consenso non solo in Inghilterra ma anche in Europa. Nel 1712 Joseph Addison - saggista, drammaturgo, scrittore, uomo politico inglese e uno dei primi oppositori dei giardini formali - affermerà che “La natura e non l’arte è il bello dei giardini”.
E la natura selvaggia, non contaminata dalle mani dell’uomo, diventa nel romanticismo la natura “sublime” - così come teorizzata da Burke nella sua Ricerca sull’origine delle idee del sublime e del bello (1756).
Il giardino all’inglese ha incontrato molta fortuna anche fuori dai confini nazionali, ed è stato introdotto in Italia da Ettore Silva (Milano, 1756 - Cinisello, 1840), scrittore, architetto e paesaggista, con ottimi risultati - anche una parte del parco della Reggia di Caserta è progettato come giardino all’inglese.