È il tipico giardino medievale, nato nei monasteri dove veniva utilizzato per la coltivazione di piante alimentari e medicinali. Chiuso da quattro alte mura, sempre più spesso con una fontana al centro (simbolo di Cristo e fonte della vita), divenne rapidamente simbolo del paradiso perduto.
Dal Cantico dei Cantici (4, 12) possiamo leggere: "Hortus conclusus soror mea, sponsa, hortus conclusus, fons signatus" («Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata»).
Nei grandi monasteri la struttura dell’hortus conclusus riprendeva le prescrizioni della Regola di San Benedetto da Norcia, dettata dal monaco nel 534 d.C.: una zona dedicata agli orti (horti), una dedicata ai frutteti (pomaria), i giardini con alberi (viridaria) e infine una parte dedicata alle erbe officinali (herbaria).
Nel tardo medievo, all’interno degli orti cominciano a comparire i primi segni del mutamento di sensibilità nella società del tempo, dei quali abbiamo testimonianza dai codici miniati: dame e cavalieri fanno la comparsa in questi primi giardini e godono dell’amor cortese.
Il simbolismo originario che vuole l’hortus conclusus simbolo della sposa, della Chiesa e della Vergine Maria, trova le sue piante simboliche nella coltivazione delle rose (simbolo della Vergine e del sangue divino), del giglio (la purezza), della palma (giustizia e gloria).
Nel Rinascimento l’hortus conclus divenne sempre meno hortus e più giardino e presto le funzionalità estetiche prevalsero a quelle pratiche - pensate ad esempio a Villa d’Este a Tivoli, voluta dal cardinale Ippolito II d'Este e oggi uno dei patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.
Se passeggiate nei centri storici delle città italiane e avete la fortuna di trovare qualche portone aperto, provate a sbirciare dentro e nella maggior parte dei casi vi accorgerete che nascoste dalle alte mura dell’edificio nobiliare si nasconde al centro un bellissimo giardino. Tendenza che si sviluppò fino alla costruzione di parchi dietro ai palazzi - molti dei quali oggi sono diventati parchi pubblici, anche solo per gli eccessivi costi di manutenzione per l’utenza privata.